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Come sostenere gli Stati Uniti,
dire no alla guerra e si alla pace

di Emanuela Baio Dossi

L'interrogativo a cui l'Italia, l'Europa e tutto il mondo devono rispondere è: qual è la retta via per esprimere solidarietà alle vittime; per condannare un crimine inaudito per l'umanità; per colpire e annientare gli integralisti che hanno pensato e attuato questo crimine e causato più di seimila vittime innocenti; per definire una strategia per costruire le premesse per una solida pace.
Non si può dimenticare che l'integralismo islamico che anima i talebani dell'Afganistan trova consensi anche in altre famiglie islamiche integraliste di altri Stati. Tra pochi giorni sarò chiamata come tutti i parlamentari a dare il mio voto a una risoluzione che impegnerà l'Italia in una guerra a fianco degli Stati Uniti, contro l'Afganistan e altri Paesi islamici considerati complici dei terroristi autori del tremendo attacco alle Twin Towers e al Pentagono. Ritengo indispensabile e giusto che gli organizzatori e i mandanti (gli autori sono morti) di questo tremendo crimine vengano individuati, arrestati e giudicati.
Piango e prego a fianco degli americani per le migliaia di vittime innocenti, ma resto perplessa sulla efficacia e sulla legittimità di una risposta di guerra. In questi casi le strade che possono essere percorse sono sostanzialmente di tre nature differenti: una risposta diplomatica, una risposta economica ed una risposta militare. La risposta diplomatica presuppone però un interlocutore con cui dialogare. Ma, con chi utilizza strategie del terrore per imporre le proprie ideologie senza il minimo rispetto della vita umana di innocenti non c'è possibilità di dialogo. Loro stessi per primi non si pongono nella condizione del dialogo.
Tuttavia, una risposta violenta, che andrebbe a colpire altre vite umane, rischierebbe di provocare solo un'escalation della violenza e creerebbe il precedente per scatenare nuovi attacchi: in questi casi, la storia ce lo insegna, il sentimento di rivendicazione infiammato dal senso di appartenenza ad una etnia e ad una cultura che si contrappone al mondo occidentale non si placherebbe se non con lo sfinimento delle forze, con altre vittime, con la barbarie di nuovo terrorismo.
La guerra all'Afganistan non è la risposta adeguata a quello che è stato fatto al popolo americano, al nostro mondo e a tutti noi collettivamente e singolarmente. Peraltro, l'articolo 11 della Costituzione repubblicana recita testualmente: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali" e io resto fedele a questo principio della nostra legge fondamentale.
Il mio spirito umanitario mi dice che al contrario di gesti di guerra, che producono con certezza solo lutti e rovine per i civili, vanno fatti gesti concreti e generosi di pace verso il mondo e il popolo islamico pacifico e moderato che da anni, anche noi occidentali, abbiamo abbandonato in ostaggio agli estremisti e ai terroristi, in Afganistan, come in Iraq, in Algeria, in Indonesia e nelle Filippine.
Non si può rispondere con un atto di guerra e non si può nemmeno dialogare: una via d'uscita, la più faticosa e difficile, quella per cui è necessario spendere più risorse economiche e di sforzo strategico è un'azione congiunta e coordinata tesa a sgominare le organizzazioni terroristiche che, disdegnando il mondo e l'ideologia occidentale, si avvalgono poi di tutti gli strumenti finanziari e mediatici che tale mondo offre loro. Gli Stati Uniti hanno cancellato ieri le sanzioni economiche contro l'India e il Pakistan (decise per condannare la ripresa dei loro esperimenti con armi nucleari). Bene, a fianco di questa decisione perché non sospendiamo unilateralmente per ragioni umanitarie l'embargo totale contro l'Iraq che ha provocato finora solo centinaia di migliaia di vittime tra la popolazione civile innocente?
Questa strategia di pace mi sembra più utile ed efficace della guerra perché favorisce il consenso e l'unione di quei popoli e governi contro un terrorismo che essi stessi condannano e rappresenta una concreta misura che aumenta la nostra sicurezza e isola gli estremisti anche in casa loro.
Un'altra donna, rappresentante del popolo degli Stati Uniti, il deputato della California, Barbara Lee, unica e sola, ha negato a Bush i poteri per "fare la guerra". La sua è stata una scelta di solitudine consapevole. Mi chiedo se non sia il caso di seguire il suo esempio e di far sentire una voce che si distingua dal coro.

Emanuela Baio Dossi
senatrice della Margherita


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 26 settembre 2001